di Giovanni Pivetta
26 Marzo 2016
Italiani non fossilizziamoci! Rottamiamo l'attuale sistema energetico

Il Ministro per l’Ambiente contro il referendum No-Triv

«Se andrò a votare, al referendum voterò no… perché dobbiamo affrontare questi temi dal punto di vista scientifico e non, come in questo caso, ideologico – E spiega: «Se vogliamo evitare di trivellare dobbiamo puntare sull’economia sostenibile. Ma fino a che abbiamo un’economia che va ancora con il petrolio, è ipocrita: se non lo estraiamo noi quel petrolio, dobbiamo comprarlo all’estero. E forse è più pericolosa la petroliera che attraversa i nostri mari». Ma se non ora quando daremo un segnale forte per la rottamazione del sistema energetico attuale?

Fermare le trivellazioni e mettere fine alla ricerca e all’estrazione di petrolio e gas nei mari italiani, almeno entro il limite di 12 miglia nautiche che definisce le acque territoriali. Rimanda a questioni di fondo: la politica energetica del paese, gli impegni assunti dall’Italia per limitare le emissioni di gas di serra che alterano il clima, la sua politica industriale. Al posto di puntare su pochi giacimenti di gas e di petrolio italiani, puntiamo su altre risorse – turismo, agricoltura, beni culturali, protezione ambientale per un’economia realmente sostenibile, questo è il significato del Referendum No-triv del 17 aprile.

Italia, un Paese di fossili! La sostenibilitàblablabla…

Si dice che, se passerà il referendum, saremo costretti a chiudere i rubinetti al 60-70% della produzione nazionale di gas naturale. Ma non è vero.

Gli allarmismi che circolano in rete su una perdita “da un giorno all’altro” del 60-70% della produzione di gas naturale, in caso vincano i “si” al referendum del 17 Aprile, sono esagerati. Innanzitutto la maggior parte della produzione di gas in Italia è a terra (34%) o in mare oltre le 12 miglia (36%).

La tempistica sarebbe poi dilazionata nei prossimi anni, sia tra le concessioni già scadute (hanno da tempo richiesto una proroga che verrà probabilmente loro concessa in ogni caso) che pesano per circa il 9% della produzione di gas, sia tra le concessioni che scadranno d’ora in poi (le uniche a subire un eventuale effetto del referendum) che pesano ora per circa il 17,6% del gas e circa il 9% del petrolio prodotti. Queste percentuali vengono ridotte di un fattore 10 se si considerano i consumi nazionali, anziché la produzione.

Complessivamente le percentuali citate corrispondono all’anno sui mercati a circa 360 milioni di dollari di gas naturale e a 180 milioni di dollari per il petrolio.Supponendo un prezzo di 5$/MBtu per il gas naturale e di 50$/Barile per il petrolio.Una concessione che produce gas naturale e gasolina, la D.C 1.AG, presenta una produzione la cui interruzione, nel caso il quesito referendario passasse, rappresenterebbe una perdita significativa a livello nazionale.

Le perdite produttive imputabili ad una eventuale vittoria dei si, sarebbero del tutto trascurabili a livello continentale ed internazionale, e non produrrebbero quindi una variazione sensibile nei mercati dei prezzi del gas o del petrolio. E’ quindi difficile pensare ad una ripercussione sui prezzi praticati al consumatore italiano.
Approfondimenti:
Le bufale sul Referendum: dati e analisi di Aspo Italia

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