di Giovanni Pivetta
8 Maggio 2020
Il capitalismo selvaggio del XXI Secolo ha infettato il Mondo
Mappa covid 19, john hopkins university : i Paesi maggiormente colpiti

«Come è possibile che la creatura più intelligente che sia mai vissuta sul pianeta Terra stia distruggendo la sua stessa casa?» Jane Goodall

Di questa enorme discussione che alimenta lo spazio pubblico locale e globale vanno inizialmente sottolineati alcuni aspetti preliminari. L’evolvere della crisi ha dato ragione a chi pensava che lo stato di emergenza prodotto dal virus denominato SARS-CoV-2 sarebbe stato esteso al mondo intero, così come a chi pensava che l’epidemia in sé – inventata o meno – avrebbe giustificato uno “stato di eccezione” proiettato verso una crescente emergenza autoritaria.

L’import-export del virus è dei Paesi industrializzati

Tra i primi 20 Paesi, che rappresentano il 60% della popolazione della Terra, per contagi e morti da Covid 19: Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Giappone, Canada, Russia ovvero il “G8” e Spagna, Turchia, Brasile, Messico, Cina, Australia, Corea del Sud, India, Indonesia, Turchia, Sudafrica e Argentina ovvero il “G20” rappresentano quali Paesi più industrializzati quasi 80% del PIL Mondiale.

Russia, Arabia Saudita, Stati Uniti, Cina e Messico sono anche tra i primi 7 Stati produttori di petrolio al mondo e Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Australia, Cina e Canada tra i primi 20 Stati produttori di gas naturale al mondo.

Se confrontiamo le mappe satellitari e cartografiche di questi Paesi, vedi La Pandemia da Coronavirus è il risultato dell’equazione dei disastri, relativamente all’inquinamento da Biossido di zolfo, Ossidi di azoto, emissioni Gas a effetto serra e per densità urbana le possiamo sovrappore e scopriremmo che Il dominio delle variabili territorio, meteo e clima combinate con l’inquinamento ci ha esposto al Coronavirus.

Viviamo in un mondo che è diventato in qualche modo un luogo migliore per i virus cattivi e un posto peggiore per noi di quanto non lo fosse il mondo nel 1918 (era pre-industrializzazione), al tempo della “spagnola”. Ma, se in passato ci trovavamo “gomito a gomito con i malati del mondo”, oggi siamo tutti malati.

Si potrebbe aggiungere alla ormai documentata relazione tra cambiamento climatico, allevamento industriale di animali e insorgenza di nuovi virus anche un fenomeno che spesso viene dimenticato ma che potrebbe essere alla base di tali eventi catastrofici: i traffici illeciti di animali selvaggi.

L’attuale pandemia è un fenomeno totale, in cui la realtà biologica del virus è ormai indissociabile dalle condizioni sociali e sistemiche che causano la sua esistenza e la sua diffusione.

La rimozione delle malattie infettive

Dal 1980 ad oggi, più di 35 nuove malattie infettive sono emerse a livello globale, di cui 13 hanno infettato umani; nello stesso periodo si è assistito al decollo mondiale della accumulazione di wildlife capital, “un’accumulazione per estinzione”.

I virus sono parte della storia socio-ecologica del pianeta. Storia umana e storia naturale sono strettamente intrecciate, ma tale intreccio può avere esiti spesso imprevedibili. Tutte le pandemie conosciute e studiate dagli epidemiologi hanno avuto origine in peculiari salti di specie che hanno contraddistinto l’operatività di un determinato virus.

Tuttavia, l’ipotesi che ha solleticato l’immaginazione di molti, ovvero di un virus sintetizzato in qualche segreto laboratorio dedito alla manipolazione della natura e delle sue profonde architetture genetiche, sembra definitivamente smentita. Per quanto ci riguarda, come punto di partenza consideriamo tale virus una probabile produzione ecologica creativa, come è avvenuto in molti altri casi nella storia delle epidemie. In altre parole, il SARS-CoV-2 potrebbe essere l’esito di un’evoluzione spontanea stimolata dall’intreccio incontrollato di attività produttive e di consumo e sistemi ecologici.

La favola del “contagio zero”

Quando si ascoltano epidemiologi, virologi, medici, matematici, storici, filosofi, etc, raccontare e provare a spiegare quel che sta accadendo o che ci si aspetta che accada nel caso della pandemia da SARS-CoV-2, si è portati a pensare che lo sfondo teorico dei ragionamenti e alcune tesi espresse siano inficiate di pseudoscienza.

Perché se si dice che facendo scendere R0 sotto a 1, si arriverà progressivamente al contagio zero, all’interruzione della trasmissione, alla soppressione dell’infezione, etc. si raccontano balle. Spacciandole per scienza, in quanto escono dalla bocca di scienziati. Ergo, si fa della pseudoscienza.

Per esempio, si crede o si lascia credere nelle conferenze stampa televisive, in molte interviste e in numerosi articoli dai cosiddette esperti che il “distanziamento sociale”, come si dice usando un aggettivo sbagliato, porterà appunto all’estinzione della trasmissione: in realtà si sta solo aspettando che meno persone muoiano o finiscano all’ospedale, per attenuare le misure di restrizione.

Ma siccome il contagio zero è impossibile da raggiungere, come i più competenti sanno anche senza essere passati per Darwin, si discetta già in realtà di quante persone immuni o meno a rischio si potranno liberare progressivamente dalla prigionia casalinga per tenere basso il contagio.

La realtà è che questo virus è qui per restare fra noi, e ci farà danzare (come prevede il report dell’Imperial College) nei prossimi anni a ritmi che non conosciamo. Che nessuno è in grado di prevedere.

Il virus è il messaggero del vivente, venuto a presentarci il conto della tempesta che noi stessi abbiamo innescato.

La pandemia da Coronavirus è una tragedia ma…

Per essere chiari, la pandemia di coronavirus è una tragedia: un incubo umano che non attraversa gli ospedali sovraccarichi e gli uffici di disoccupazione con una velocità snervante, che si lancia verso un orizzonte oscurato dal disastro economico e affollato di presagi di sofferenza a venire. Ma questa crisi globale è anche un punto di inflessione per l’ altra crisi globale, quella più lenta con una posta ancora più alta, che rimane lo sfondo su cui ora si svolge la modernità. Come ha recentemente notato il segretario generale delle Nazioni Unite , la minaccia del coronavirus è temporanea mentre la minaccia da ondate di calore, inondazioni e tempeste estreme con conseguente perdita della vita umana rimarrà con noi per anni.

La nostra risposta a questa crisi sanitaria modellerà la crisi climatica per i decenni a venire. Gli sforzi per rilanciare l’attività economica – i piani di stimolo, i salvataggi e i programmi di ritorno al lavoro attualmente in fase di sviluppo – aiuteranno a determinare la forma delle nostre economie e le nostre vite per il prossimo futuro e avranno effetti sulle emissioni di carbonio che si ripercuotono su il pianeta per migliaia di anni.

Semmai, gli effetti positivi a breve termine sul clima che stiamo vedendo oggi servono come promemoria drammatico del fatto che cambiare le abitudini di consumo personale significherà ben poco andare avanti se non riusciremo anche a decarbonizzare l’economia globale. Le recessioni economiche talvolta spingono simultaneamente in entrambe le direzioni, con imprese e governi che rispondono con alcune misure di rilancio dell’economia che danneggiano l’ambiente e altre che promuovono la conservazione.

E se il XXI secolo fosse iniziato nel 2020 con l’entrata in scena del Covid-19

Quando l’interesse privato e l’individualismo concorrenziale diventano i valori supremi, ne risulta una rottura di civiltà, mentre l’ossessione puramente quantitativa e la tirannia dell’urgenza conducono a un vuoto nell’essere. Ne deriva soprattutto quella compulsione produttivista e mortifera che è all’origine del sovrasfruttamento delle risorse naturali, della disorganizzazione accelerata del vivente e dello sconvolgimento climatico.

Il coronavirus è giunto a lanciare un segnale d’allarme, a tirare il freno del folle treno di una civiltà lanciata verso la distruzione della vita. Lo lasceremo ripartire? In quel caso, avremmo l’assoluta certezza di nuovi cataclismi a venire. Cataclismi rispetto ai quali questi giorni saranno poca cosa.

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