di Redazione
17 Gennaio 2025
La finanza climatica si è fossilizzata
Banche e fondi d'investimento in fuga dalla finanza climatica

Le grandi Banche mondiali e i Fondi d’investimento in fuga dall’alleanza sul clima

Le grandi banche mondiali e le società d’investimento sono in fuga dalla finanza climatica, un’inversione di rotta che segna la fine dell’alleanza Net Zero Banking Alliance (NZBA) per costruire un’economia globale a zero emissioni. La pressione della Lobby del petrolio (intesa come i Paesi più grandi produttori di oro nero), che ha smantellato l’accordo per finanziare le strategie sul clima con la Cop29 di Baku, persegue l’opera di manipolazione dell’informazione climatica.

JPMorgan Chase, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Goldman Sachs e Morgan Stanley e i principali grandi gestore patrimoniali al mondo, come Vanguard – BlackRock – State Street, da migliaia di miliardi di dollari di asset gestiti, abbandonano l’Alleanza per il clima, chiamata Net zero asset managers (Nzam) per l’azzeramento delle emissioni di gas serra.

Una decisione che arriva a inizio gennaio 2025. Dopo anni di aperta ostilità politica e giudiziaria da parte della Lobby del petrolio nei confronti di qualsiasi politica orientata alla sostenibilità. E a pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.

i rischi climatici sono rischi finanziari

Banche mondiali e Fondi d’investimento membri della NZBA erano già ben lontani dal raggiungimento degli obiettivi volontari sul clima che si erano posti ma capitolare davanti alle Lobby negazioniste mina il dovere fiduciario dei gestori patrimoniali. Perché questo dovere fiduciario prevede anche di mitigare i crescenti rischi posti dai cambiamenti climatici per i risparmi degli investitori.

Si potrebbe obiettare che tutelare gli interessi dei clienti significhi anche accompagnarli nella transizione ecologica. Una transizione inevitabile e urgente. Visto che l’alternativa è lasciar imperversare una crisi climatica che entro il 2050 potrebbe mandare in fumo il 15% del prodotto interno lordo (Pil) globale. Ma è un’argomentazione che, a quanto pare, nei grandi Paesi produttori di petrolio, non fa presa. Ora la palla passa agli asset owner, cioè i clienti delle società d’investimento. Se prendono sul serio la crisi climatica, possono dimostrarlo. Per esempio affidando i loro capitali a qualcun altro.

E’ la fine della Finanza climatica?

Il concetto di “finanza climatica” si riferisce al trasferimento di risorse finanziarie dai paesi industrializzati, responsabili del riscaldamento globale, ai paesi poveri, che da tempo ne pagano le conseguenze, ma che non hanno le risorse per realizzare la transizione energetica e per presentare gli impegni di riduzione delle emissioni climalteranti NDCs. Nella Cop 29, svoltasi in Azerbaijan, si sarebbero dovuti mettere a punto definitivamente i meccanismi per il calcolo delle quote che i vari governi avrebbero dovuto versare, ma a causa delle interferenze dei lobbisti del fossile tutto si è ridotto a generiche buone intenzioni.

I presupposti per alimentare il “Fondo perdite e danni” (Loss and Damage) e rendere operativa la finanza climatica ci sarebbero: una volta stabilita la cifra globale da erogare annualmente basterebbe calcolare i contributi dovuti da ciascuno Stato ad economia avanzata, in funzione delle emissioni storiche e del prodotto interno lordo pro capite. È fondamentale che il denaro dato non crei debito, cioè che venga erogato sotto forma di sovvenzioni, in modo da non gravare con interessi altissimi sulle finanze di paesi già in difficoltà, o tutt’al più con prestiti a tassi minimi.

Per avere un’idea di quali investimenti sarebbero necessari per agire in modo realistico entro il 2030 contro il riscaldamento globale, così da contenere l’aumento di temperatura entro 1,5° e scongiurare lo scioglimento dei ghiacciai, basta guardare le accurate previsioni formulate tramite Agenzie internazionali che hanno tenuto in considerazione sia l’obiettivo di mitigare i danni già intervenuti, sia quello di incrementare adeguatamente le energie rinnovabili atte a sostituire le fonti fossili. È risultato dunque che sarebbero necessari 6.300-6.700 miliardi di dollari totali all’anno così suddivisi: 2.300-2.500 per i paesi più poveri e 40 per le piccole isole, 1.300-1.400 per la Cina, 2.300-2.500 per le economie avanzate.

Ma alla conferenza di Baku la cifra per cui si sono impegnati i paesi più ricchi è stata di soli 300 miliardi di dollari all’anno contro i 1.300-2.600 ritenti necessari. Una miseria se pensiamo che nell’ultimo anno le multinazionali del petrolio Chevron, Exxon, B.P., Shell, Eni e Total hanno guadagnato 1.000 miliardi di dollari, circa 3 al giorno, arricchendosi sulla pelle dell’intero genere umano; a loro sono stati erogati 142 miliardi di sussidi (Italia 90 miliardi, 3,8 del Pil, più degli USA). D’altronde da quando è stata ventilata l’evenienza che entro il 2030 si abbandonino le fonti energetiche fossili c’è stata una corsa forsennata al loro incremento tanto che nell’anno appena passato gli investimenti per sfruttare i giacimenti ed i sussidi sono più che raddoppiati.

L’inchiesta 2018 del New York Times è di grande attualità

Il racconto dominante dell’ultimo quarto di secolo che ha riguardato gli sforzi delle industrie dei combustibili fossili per inibire la scienza, confondere l’opinione pubblica e corrompere i politici non è di un fanatico attivista ambientale ma del New York Times che dedica un intero numero del Magazine per narrare con atti, fatti e testimonianze storiche come e perché “Losing Earth” stiamo perdendo la Terra. Potrebbe sembrare un avvincente giallo ma è una storia reale.

“Losing Earth”. Non è un fanatico ambientalista ma il New York Times a raccontare gli sforzi, nell’ultimo quarto di secolo, delle industrie dei combustibili fossili per inibire la scienza, confondere l’opinione pubblica e corrompere i politici. 1/3a Puntata Leggi il Prologo

Premessa:
New York Times, il nostro problema è la crisi climatica

L’intero numero del “New York Times Magazine” del 1 agosto 2018 è composto da un unico articolo su un singolo argomento: il fallimento nell’affrontare la crisi climatica degli anni ’80, un periodo in cui la scienza andava nella giusta direzione e la politica sembrava seguire di pari passo. Scritto da Nathaniel Rich, questo lavoro di cronostoria è pieno di rivelazioni di addetti ai lavori sulle strade non intraprese. E per sgomberare il campo da ogni dubbio sul fatto che le implicazioni di tali scelte hanno scolpito per sempre la nostra impronta geologica, le affermazioni di Rich sono minuziosamente accompagnate da foto aeree a tutta pagina di George Steinmetz che documentano in maniera straziante il rapido dissolversi dei diversi ecosistemi di questo pianeta, dalle acque impetuose di quella che una volta era la Groenlandia alla proliferazione di alghe nel terzo lago più grande della Cina.

Questo articolo, della lunghezza di un romanzo, rappresenta quel livello di impegno mediatico di cui la crisi climatica ha sempre avuto bisogno ma non ha mai ricevuto. Abbiamo sentito tutti le varie scuse secondo cui la questione marginale sul saccheggio della nostra unica casa non farebbe più notizia: «Il cambiamento climatico è una questione troppo lontana nel tempo»; «Non è corretto parlare di politica mentre le persone perdono la vita in incendi ed uragani»; «I giornalisti seguono le notizie non le creano e i politici non parlano di cambiamento climatico»; e l’immancabile «Ogni tentativo che facciamo è un rischio per i rating».

La responsabilità morale dei media
nell’informare sui cambiamenti climatici

– Nessuna di queste scuse riesce a nascondere l’inadempienza del dovere. Il mondo dei grandi media avrebbe potuto, in qualsiasi momento, decidere in maniera autonoma che la destabilizzazione del pianeta fosse la grande storia del momento, molto probabilmente quella con più conseguenze nella storia umana.

Hanno sempre avuto la capacità di imbrigliare le capacità dei loro reporter e fotografi per collegare scienze astratte a eventi meteorologici estremi e reali. Se lo avessero fatto con costanza avrebbero attutito la necessità dei giornalisti di anticipare la politica, perché più la collettività è informata sull’argomento e sulle possibili soluzioni, più spingerà i propri rappresentanti a intraprendere azioni concrete.

La tesi del New York Times Magazine

Secondo Rich, tra il 1979 e il 1989 la dottrina base del cambiamento climatico era compresa ed accettata, la divisione partitica sull’argomento doveva ancora prendere piede, l’industria dei combustibili fossili non aveva cominciato seriamente la campagna di disinformazione e buona parte dell’agenda politica globale convergeva verso un accordo internazionale preciso e vincolante sulla riduzione delle emissioni. Scrivendo a proposito del periodo chiave di fine anni ’80, Rich afferma che «Le condizioni per il successo non avrebbero potuto essere più favorevoli».

Eppure, siamo riusciti a mandare tutto all’aria. “Noi” esseri umani, apparentemente così miopi per quel che riguarda la salvaguardia del nostro futuro. Giusto nel caso ci dovesse sfuggire con chi e con cosa prendercela per il fatto che ci ritroviamo a «perdere il pianeta», la risposta di Rich si presenta con un appello a tutta pagina: «Tutti i fatti erano noti e nulla intralciava il cammino. Nulla, ovviamente, tranne noi stessi».

La critica:
Il capitalismo ha ucciso la lotta alla crisi climatica,
non la “natura umana”.

Traduzione da The Intercept di Naomi Klein
Eh già, voi e io. Non, secondo Rich, le industrie dei combustibili fossili che partecipavano a ognuno degli incontri politici descritti nell’articolo. (Immaginatevi se i dirigenti dell’industria del tabacco venissero ripetutamente invitati dal governo statunitense a discutere sulle politiche sul divieto di fumo. Se questi incontri finissero con un nulla di fatto, giungeremmo alla conclusione che il motivo è semplicemente che gli esseri umani vogliono morire? Non decideremmo forse, che invece il sistema politico è corrotto e ha fallito?).

Questa errata interpretazione è stata denunciata da molti storici e scienziati del clima fin dall’uscita della versione online dell’articolo lo scorso mercoledì [1 agosto 2018 – ndt]. Altri hanno fatto notare le esasperanti invocazioni alla “natura umana” e l’uso del regale “noi” per descrivere un gruppo urlante e omogeneo di forti gruppi di potere americani. In tutto il resoconto di Rich non c’è traccia di quei leader politici del Sud del Mondo che chiedevano azioni puntuali in quel periodo chiave e in quelli successivi, gli unici in qualche modo capaci di preoccuparsi delle generazioni future nonostante siano anche loro esseri umani. Nel frattempo, le voci delle donne nel testo di Rich sono tanto rare quanto gli avvistamenti del picchio dal becco avorio (e laddove sono presenti, appaiono principalmente come mogli affrante di uomini tragicamente eroici).

Tutti questi errori sono già stati ampiamente discussi, quindi non starò a tirarli fuori di nuovo. Mi concentrerò sulle premesse fondanti dell’articolo: la fine degli anni ’80 presentava condizioni che «non avrebbero potuto essere più favorevoli» per intraprendere azioni decise. Al contrario, è difficile immaginare momento più inopportuno nella storia dell’evoluzione umana per trovarsi faccia a faccia con la nuda verità su come gli agi del capitalismo consumistico moderno stessero erodendo l’abitabilità del pianeta. Perché? Perché i tardi anni ’80 erano lo zenith assoluto della crociata neoliberista, un momento di picco ideologico per un progetto economico e sociale creato appositamente per screditare l’azione collettiva in nome della liberazione dei “liberi mercati” in ogni aspetto della vita. Eppure, Rich non fa menzione di questo sconvolgimento economico e politico.

Il successo dell’inchiesta sui cambiamenti climatici,
dal libro alla serie Tv acquistata da Apple

Losing Earth The Decade We Almost Stopped Climate Change L’articolo “Losing Earth” ha raccontato come, dal 1979 al 1989, un piccolo gruppo di scienziati, attivisti e politici americani abbia cercato di salvare il mondo dalle devastazioni dei cambiamenti climatici prima che fosse troppo tardi. L’articolo è stato prodotto con il supporto del Pulitzer Center e si basava su oltre 18 mesi di rapporti e oltre 100 interviste. Oggi il pionieristico resoconto di Nathaniel Rich di quel fallimento e della narrazione di come l’industria dei combustibili fossili e politici si siano impegnate nel negazionismo anti-scientifico, oltre che un blockbuster giornalistico che ha ottenuto paragoni favorevoli con Silent Spring di Rachel Carson e Hiroshima di John Hersey, è diventato un libro in grado di portare la storia nel presente e lottare con ciò che quei fallimenti passati significano per noi nel 2019. Non è solo una rivelazione straziante di opportunità storiche perse, ma una valutazione chiara ed eloquente di come siamo arrivati a questo momento, e di cosa possiamo e dobbiamo fare prima che sia davvero troppo tardi.

Per il New York Times, Losing Earth è un pezzo di giornalismo estremamente importante, che nel corso del tempo è stato letto da milioni di persone in tutto il mondo. Il giornale ha ricevuto dozzine di offerte, ma alla fine è stata accettata la proposta di Apple che ne farà una serie TV di stampo documentaristico.

La serie sarà prodotta da Anonymous Content, una società nota per film come “Spotlight”, “The Revenant”, “Collateral Beauty” e serie TV come “True Detective”, “Mr. Robot” e “13 Reasons Why”.

Losing Earth: The Decade We Almost Stopped Climate Change


New York Times Magazine – 1 agosto 2018
Questo racconto di Nathaniel Rich è un’opera di storia, che affronta il periodo di 10 anni dal 1979 al 1989: il decennio decisivo in cui il genere umano raggiunse per la prima volta un’ampia comprensione delle cause e dei pericoli dei cambiamenti climatici. A complemento del testo c’è una serie di fotografie aeree e video, tutti girati nell’ultimo anno da George Steinmetz. Con il supporto del Pulitzer Center , questo articolo in due parti si basa su 18 mesi di rapporti e oltre un centinaio di interviste. Tiene traccia degli sforzi di un piccolo gruppo di scienziati, attivisti e politici americani per sollevare l’allarme e evitare la catastrofe. Arriverà come una rivelazione a molti lettori – una rivelazione agonizzante – per comprendere quanto accuratamente abbiano afferrato il problema e quanto siano stati vicini a risolverlo.

Approfondimenti

– New York Times: Climate Change Investigation “Losing Earth”, l’introduzione
– New York Times: Climate Change Investigation “Losing Earth”, il Prologo
– New York Times: New York Times Climate Change Investigation “Losing Earth”, 1a parte, capitoli 1 e 2
– New York Times: New York Times Climate Change Investigation “Losing Earth”, 1a parte, capitoli 3 e 4

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