di Giovanni Pivetta
24 Gennaio 2019
La cassetta degli attrezzi per scelte sostenibili consapevoli

Oggi il “mercato economico politico” è globalizzato esattamente come quello delle merci e dei servizi; e quindi occorre utilizzare tutti gli strumenti che sono a disposizione di un Paese e della sua classe politica. Certamente, oggi lo spazio di azione delle agenzie di Intelligence è infinitamente più vasto di quanto non accadesse all’epoca della guerra fredda, e quindi molte tecniche di manipolazione di massa, che prima erano specificamente politiche, oggi sono anche commerciali, comportamentali, culturali, scientifiche o pseudo-scientifiche. Dalle une nascono le altre, e spesso oggi dalle tecniche di marketing commerciale derivano le operazioni di manipolazione elettorale o politica.

Dagli anni Novanta, la comunità scientifica ha raggiunto un consenso unanime sul ruolo preponderante delle attività umane nel riscaldamento globale. Tuttavia, i media (soprattutto negli Stati Uniti) hanno continuato a presentare il tema delle cause del riscaldamento globale come una questione controversa. Per esempio, uno studio del 2004 mostrava come, nei principali quotidiani statunitensi, il 52,6 per cento degli articoli sul riscaldamento globale destinasse lo stesso spazio alla visione scientifica tradizionale e a quella “negazionista”. In altre parole, l’equilibrio (balance) si è tradotto in un pregiudizio (bias): l’equilibrio nella presentazione dei diversi punti di vista ha creato, di fatto, una distorsione informativa.

«Don’t hate the media, become the media», con questo slogan, nel mezzo della battaglia di Seattle, i movimenti new global hanno rinnovato il modo di pensare il rapporto tra la prassi e la società dell’Informazione. Era il dicembre del 1999, si concludeva il decennio euforico della New Economy, delle Dot Com, della mescolanza vertiginosa tra finanza e produzione hi-tech.

Sono passati più di 20 anni, sembra di essere immersi in un passaggio d’epoca. Si è affermato il web 4.0, Twitter è stata una delle armi che ha fatto fuori i dittatori arabi, Anonymous fa tremare governi e apparati di sicurezza. La geografia dell’Infosfera è completamente cambiata, Internet è diventato uno spazio abitato da milioni di persone ogni giorno. Non a caso Geert Lovink (esperto e critico radicale della Net Culture), parla di «ossessioni collettive», riferendosi a Facebook, Google e a molto altro. Si parla e si partecipa, la socialità è ormai dispositivo macchinico, eppure quasi mai si decide. Vizio della sfera pubblica o contraddizione della rete di nuova generazione?

Ciò che è vero, indubbiamente, è che ognuno compone la sua informazione, costruisce il suo blog, aggrega le sue notizie, qualifica le sue comunità. L’informazione non è più la stessa, né quella mainstream, né quella indipendente. La libertà appare massima, ma allo stesso tempo non è mai stata a rischio come ora. L’individualizzazione delle pratiche di rete è anche e soprattutto la continua scrittura, da parte delle corporation, dei profili di consumo, la cattura dei gusti e degli stili di vita, il controllo, di nuova natura, della devianza. È attraverso la rete e la connessione permanente che le nostre vite sono messe al lavoro. Serve ancora, date queste premesse, un altro sito? E se sì, a cosa?

Sulla risposta non abbiamo dubbi. Ora, più che mai, è il momento. Sono necessari nuovi terreni di ricerca e di innovazione, di cooperazione e di conflitto. Un sito di movimento serve se e solo se sa essere luogo di costruzione del discorso e di informazione per scelte sostenibili consapevoli. Costruire non fa rima con rappresentare, meglio, dove c’è onestà intellettuale e credibilità, là è impossibile parlare a nome degli altri. Ancora: un luogo o uno spazio dove non si mettono radici profonde, ma dove si procede in orizzontale, proliferando come fili d’erba. Se cercate una nuova identità in rete, non facciamo al caso vostro. Potete sentirvi a casa, piuttosto, se avete bisogno di una nuova “cassetta degli attrezzi”: linguaggio trasparente, parole chiare, informazione corretta per trasformare la potenza delle parole e del “fare rete” in atti e scelte sostenibili consapevoli.

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