di Giovanni Pivetta
18 Aprile 2016

Il discorso di Renzi su facebook del 5 aprile
“Spero che il Referendum fallisca”

«Un po’ di roba, un po’ di energia – se non volete stare al buio, non salire sull’ascensore, non prendere la macchina, e riscaldarvi con i bue – voi un po’ di energia da qualche parte dovete premderla. L’Italia ha un po’ di questa di questa energia. Il referendum delle trivelle non parla di nuovi pozzi, di nuovi scavi, di nuove trivelle… No! Dice le trivelle che già ci sono – che poi non sono trivelle ma sono impianti all’avanguardia a livello internazionale, di straordinaria sicurezza – vogliamo continuare a tirare fuori il gas e il petrolio che c’è, oppure diciamo che siccome noi abbiamo deciso basta…sapete che c’è? Chiudiamo tutto e andiamo a comprarlo dagli arabi o dai russi. Perchè un po’ di energia comunque ci servirà. Io sono per non sprecare ciò che abbiamo.»

Il referendum del 17 aprile era sì fermare le trivellazioni e mettere fine alla ricerca e all’estrazione di petrolio e gas nei mari italiani, almeno entro il limite di 12 miglia nautiche che definisce le acque territoriali ma l’intenzione esplicita rimandava e rimanda a questioni di fondo.

La politica energetica del Paese, gli impegni assunti dall’Italia per limitare le emissioni di gas di serra che alterano il clima, la sua politica industriale. Se puntare sui pochi giacimenti di gas e di petrolio italiani, o piuttosto su altre risorse: turismo, agricoltura, beni culturali, protezione ambientale.

Ma un referendum non può proporre scelte così articolate, può solo abrogare delle norme esistenti. Certo può dare un segnale politico, esprimere un volere dei cittadini. E credo che un segnale positivo ci sia stato perché quasi 14 milioni di italiani hanno voluto ribadire che vogliono che inizi una ‘transizione’ verso le energie rinnovabili e l’uscita dai combustibili fossili per contenere il riscaldamento globale e soprattutto che si punti su un’economia sostenibile.

Ma se non ora quando daremo un segnale politico forte per la rottamazione del sistema energetico attuale? Ci siamo già dimenticati, a distanza di sei mesi, che l’Italia ha preso un impegno con altri 195 Paesi alla Cop 21 di Parigi? Le emissioni di gas di serra che alterano il clima sono un fatto reale che genera degrado ambientale e sociale e gli italiani non sono fossilizzati come questo non è più un Paese di fossili.

Questa potrebbe essere l’epoca della sosteniblablablà, una profusione cacofonica per definire qualcosa di migliore dal punto di vista ambientale o semplicemente alla moda, ma una moltitudine inarrestabile vuole che non si faccia un uso smodato di questa parola riempiendosi la bocca e rendendola quindi priva di significato. L’ambiente non è un tema “caldo” solo per la politica ma lo è anche nelle agende degli italiani, che dimostrano di essere più attenti e sensibili sui temi ambientali e del risparmio energetico. I gas ad effetto serra emessi dalle attività umane che provocano inquinamento dell’aria, delle acque e della Terra è oggi percepito dalla stragrande maggioranza come il più grave dei problemi ambientali.

Referendum Trivelle: ideologico, inutile, demagogico…

Obiezioni e le critiche:
… Il referendum è stato richiesto dai consigli di 9 regioni e non da una raccolta di firme popolare…
… Le regioni sono quelle che hanno dato tutti i permessi attuali per le trivellazioni delle durata di sei anni e delle successive proroghe …
… Alcune trivellazioni sono iniziate 40 anni fa…
… Ci hanno chiamato per partecipare ad una guerra tra bande dello stesso partito, il petrolio non c’entrava e non c’entra nulla…
… Questo pseudo referendum nei fatti non avrebbe cambiato nulla…
… Renzi vs Governatori regionali, l’Italia e gli italiani hanno risposto…
… Il quesito non era trivelle si o no, ma se le regioni dovevano continuare a dare permessi e proroghe ogni 6 anni…

Repliche:
Il referendum è stato promosso nel settembre 2015 da dieci regioni italiane (rimaste in nove quando l’Abruzzo si è defilato), che hanno accolto gli appelli di un coordinamento No Triv e di un gran numero di associazioni, tra cui le storiche organizzazioni ambientaliste nazionali e molte locali.

La frase da abrogare in questo caso era “per la durata di vita utile del giacimento” e riguardava la durata delle concessioni (i “titoli”) per estrarre idrocarburi. I titoli di norma sono concessi per trent’anni; la compagnia concessionaria può chiedere una prima proroga di dieci anni e altre due di cinque ciascuna. La legge di stabilità 2016, però, parla di “vita utile” del giacimento, che significa allungare una concessione in modo indefinito.

L’attività petrolifera non è più
né strategica né indifferibile né urgente

In realtà alcuni risultati sono stati già ottenuti. In origine infatti i quesiti erano sei, tutti dichiarati ammissibili dalla corte costituzionale. Avremmo votato per esempio anche per cancellare tre norme introdotte dalla legge sblocca Italia del governo: quella che definisce “strategica” l’attività petrolifera, una norma sugli espropri e una sulle competenze delle regioni.

Questi quesiti sono caduti, perché le richieste sono già state soddisfatte da alcuni emendamenti alla legge di stabilità 2016, approvati dal parlamento nel novembre scorso. In questo senso si è già segnato un punto. Gli idrocarburi non hanno più il carattere di “strategicità, indifferibilità e urgenza” che comportava procedure accelerate e poche garanzie di consultazione per gli enti locali.

È saltato il “vincolo preordinato all’esproprio”, per cui anche solo una concessione per la ricerca faceva scattare l’esproprio dei terreni. Ed è scomparsa la norma che consente al ministero per lo sviluppo economico (Mise), cioè al governo, di sostituirsi alle regioni per autorizzare progetti di idrocarburi e delle infrastrutture relative: Il governo non potrà più decidere unilateralmente; dovrà riunire le regioni interessate e cercare un compromesso. Un altro quesito è saltato perché si riferiva a un “piano delle aree”, poi abolito.

Secondo le vecchie norme, il ministero dello sviluppo economico, sentito quello dell’ambiente e gli enti locali, doveva stabilire dove si può consentire la ricerca e l’estrazione di idrocarburi e dove no: nelle zone sismiche o protette o interessate da agricoltura di pregio o densamente abitate, e così via. Si volevano bloccare nuovi permessi di ricerca sulla terraferma finché il piano delle aree non fosse stato definito. Nella legge di stabilità 2016 però il piano stesso è scomparso. In teoria, oggi sul territorio italiano si può trivellare quasi ovunque.

Il discorso di Renzi a Palazzo Chigi del 17 aprile “Il Referendum è stato respinto”

«Questo referendum è stato respinto, è un risultato netto chiaro, superiore alle aspettative, alle previsioni di tutti i commentatori e di tutti gli opinionisti. Assisteremo nelle prossime ore, nei prossimi giorni, probabilmente, alla solita triste esibizione di tutti i politici vecchio stile che dichiarano di aver vinto anche quando perdono. In politica bisogna saper perdere e ci sono dei messaggi molto chiari che arrivano dalla gente e dai cittadini e vanno recepiti come tali. In questo referendum ci sono dei vincitori e ci sono degli sconfitti. Voglio essere molto chiaro: il governo non si annovera nella categoria dei vincitori, ma crede che i vincitori siano gli operai, gli ingegneri, i lavoratori che domani torneranno nelle loro aziende sapendo che hanno un futuro non soltanto un passato: levo simbolicamente i calici con loro, con quelle 11 mila persone che avrebbero rischiato il posto di lavoro e per i quali abbiamo lavorato, e per i quali abbiamo proposto l’astensione ai cittadini. E con la stessa franchezza dico che non sono i cittadini che sono andati a votare, chi vota non perde, mai massimo rispetto per quelle donne e quegli uomini comunque abbiano votati. Ma gli sconfitti ci sono, hanno dei nomi, dei cognomi: sono pochi pochissimi consiglieri regionali e qualche presidente di regione che ha voluto cavalcare a tutti i costi un referendum per esigenze personali, particolari politiche.»

Ci auguriamo che dopo il discorso a “caldo”, che pubblichiamo integralmente, il presidente del consiglio ed il governo ripensino alla politica industriale del Paese investendo nelle energie rinnovabili e in settori industriali compatibili. Oltretutto non è vero che si è pensato alla perdita di posti di lavoro perché le piattaforme non creano poi così tanta occupazione, e comunque solo nella fase della trivellazione: poi lavorano tutto in remoto.

Nell’indotto, visto i quasi dieci anni di durata delle concessioni, gli eventuali posti di lavoro persi si sarebbero ampiamente compensati con il passaggio ad un nuovo mix energetico visto che dal 2013 si sono persi quasi 60.000 posti di lavoro nelle rinnovabili.

Del referendum sulle trivelle si è parlato comunque ben poco. Il governo ha scelto di non accorparlo alle elezioni amministrative, sarebbe stata necessaria una legge apposita, come è avvenuto in altri casi. Poi c’è stata la solita confusione tra sì e no: vota sì se non vuoi le trivelle, e viceversa.

L’informazione sul referendum è viaggiata soprattutto sui social media. Per una strana ironia, il referendum sulle trivelle ha fatto notizia soprattutto quando nel partito che guida il governo si solo levate voci che chiamano a non votare, suscitando polemiche: un governo invita i cittadini a non esercitare un diritto democratico. Paradossale: molte tra le regioni che hanno promosso quel referendum sono governate da quello stesso partito.

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