di Giovanni Pivetta
25 Aprile 2016

Premessa – l’obiettivo è un’economia sostenbile e questo presuppone un’azione forte e coordinata delle forze sociali e politiche “ambientaliste” al momento ancora disperse e un ampio dibattito pubblico: bisogna che l’industria “sostenibile” si organizzi e passi al contrattacco. In Italia e in Europa, per rispondere alle false verità che dominano i conciliaboli nei corridoi di governo e parlamento, possiamo dimostrare che un nuovo modello di sviluppo è alle porte e che può dare un contributo positivo all’uscita dalla crisi.

Ascoltate Ferruccio Parri uno dei Padri costituenti dell’Italia moderna.

Milano, 25 aprile 1945? No, 6 maggio 1945

Foto in home page – Un’immagine racconta un momento storico per l’Italia di 70 anni fa. Siamo a Milano, in un Corso Vittorio Emanuele sgombro di macerie e di pallottole quanto colmo di dolore e di speranze: è il Corteo della Liberazione e sui volti degli uomini in sfilata si legge il futuro del Paese.

È il 6 maggio, non il 25 Aprile. È una festa, la folla fa ali a quell’incedere solenne. Non è la festa della Repubblica, che ancora non c’è. È una festa di guerra, la festa di una vittoria estenuata e complessa. Quegli uomini sono il Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà, sorta di stato maggiore della resistenza partigiana.

In quella fotografia ci sono, fra gli altri, Ferruccio Parri, “Maurizio” in montagna, di lì a poco acclamato Segretario del Partito d’Azione; Raffaele Cadorna, Generale di un esercito lacerato dopo la tragedia dell’8 Settembre, ma pure onesto combattente e difensore di Roma l’anno prima; Luigi Longo, comunista,“Gallo” nome di battaglia, qui vice di Cadorna, come d’ora innanzi lo sarebbe stato di Togliatti, fino a succedergli nel 1964; e c’è Enrico Mattei, che di nomi di battaglia ne ebbe addirittura tre, “Marconi”, “Este” e “Monti”, co-fondatore della Democrazia Cristiana, padre dell’ENI e del Miracolo Economico, il nostro Davide contro il Golia petrolifero anglo-americano, tradito in patria.

Fu un saggia e coraggiosa scelta mostrare subito compattezza e unità, anche se non c’era l’una nè l’altra: nè avrebbero potuto. Perchè, così agendo, indicarono una via, fissarono una meta. Senza di questa scelta lungimirante, l’Italia si sarebbe dissolta nelle sue stratificate parzialità; se la vicissitudine di lacerazioni e ricuciture (cruente lacerazioni, pazienti ricuciture) di cui si è composta la nostra storia repubblicana ha potuto reggere, lo si deve, per così dire, allo spirito di quella fotografia.

Qui comincia la nostra narrazione nel voler raccontare il tempo che fu quando c’erano i servitori dello Stato coloro che facevano l’interesse collettivo, il bene del popolo e un Paese deve avere memoria e saperlo raccontare alle giovani generazioni.

Agip: Agenzia gerarchi in pensione

L’Agip fu fondata nel 1926 da Mussolini e ad Enrico Mattei venne dato il compito di smantellarla.
Mattei, figlio del carabiniere che arrestò Musolino, conosciuto come U ‘re i l’Asprumunti, o meglio ancora come il Brigante Musolino, dopo gli anni della resistenza come figura di primo piano in cui rappresentò la componente “bianca” in seno al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) fu nominato, al termine del conflitto, deputato e membro del Consiglio nazionale della DC.

Vi è tuttavia poco di lusinghiero in questa nomina: poco tempo dopo, viene invitato a liquidare l’azienda di Stato per ordine del ministro del Tesoro Soleri, liberale, secondo il quale essa rappresenta solo un costo, soprattutto riguardo l’intenzione di sfruttare i giacimenti di petrolio e gas scoperti (prima e durante la Guerra) in Val Padana e in Sicilia, di cui Mattei è a conoscenza.

Nonostante la sua personale lotta contro il Fascismo, Mattei ha il grande acume ed il coraggio di andare controcorrente e di riconoscere come non tutto ciò che fosse stato fatto durante il Ventennio fosse da scartare e condannare a priori. In questo caso, capisce che liquidare l’AGIP lasciando così il Paese senza un ente statale preposto all’energia, è sbagliato: Mattei è conscio che una nazione, per essere una potenza industriale e avere una vera indipendenza politica, deve prima di tutto assicurarsi di essere indipendente il più possibile sotto il profilo energetico.

Dall’Agip all’ENI: il petrolio italiano

Mattei, grazie agli ingeneri e ai ricercatori dell’Agip prebellica che ci avevano visto giusto, collegò tutta l’Italia con i suoi gasdotti, distribuì quasi ovunque i benzinai AGIP e impiantò i primi grandi poli petrolchimici, come quello di Ravenna.
Sotto Mattei, l’ENI operò anche all’estero, dove entrò in competizione con le grandi multinazionali del petrolio anglo-americane che allora dominavano il mercato. Mattei strinse rapporti con il Marocco, la Libia, la Giordania e l’Algeria, che si stava rendendo indipendente dalla Francia. Oltre agli oleodotti e alle concessioni per l’esplorazione petrolifera, Mattei fece anche altro.

Così, non solo non liquida l’AGIP, bensì nel 1953 la rende più forte fondando l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) a cui viene accorpata. Il problema che gli si pone davanti è che però l’Italia, al momento, è tutto tranne che indipendente e libera di decidere il suo destino autonomamente: ha de facto perso la guerra e nonostante il maldestro cambio di schieramento del ‘43, non ha titolo per sedersi al tavolo dei vincitori con voce in capitolo, tutt’altro.

Subisce le decisioni degli Alleati che in quel momento ancora occupano il Paese e sovrintendono al governo transitorio cercando di indirizzare tutti gli aspetti legati all’aspetto produttivo e sociale a proprio favore. Fra questi, a ricoprire l’importanza principale su cui bisogna subito chiarire a chi spetti sovrintendere – in virtù del volume d’affari ad esso legato – è il settore energetico: in principio silenziosamente e bisbigliando nelle orecchie giuste e compiacenti, riappaiono sulla scena italiana dopo le nazionalizzazioni di Mussolini allo scoppiare della Guerra, le cosiddette “Sette sorelle”: la Standard Oil of New Jersey, la British Petroleum, la Standard Oil of California, la Gulf Oil, la Royal Dutch Shell, la Socony Mobil Oil e la Texas Oil.

Insieme, queste compagnie che formano un inattaccabile cartello con lo scopo di spartirsi le risorse petrolifere mondiali, mantengono un monopolio e fissano prezzi su cui non ammettono intromissioni e cambiamenti di sorta.

Se possibile convincere. Se no, stroncare!

Questa è l’emblematico e celebre motto del fondatore della Standard Oil John D. Rockefeller che ben sintetizza la linea di condotta del Cartello nei confronti dei concorrenti come l’ENI di Mattei e quindi l’Italia.
Bisogna a questo punto icapire brevemente il cuore della vicenda, per capire il funzionamento del cartello petrolifero e il perché Mattei fosse diventato così scomodo per gli interessi delle grandi compagnie e andasse quindi stroncato.

Il prezzo del greggio stabilito a livello mondiale era unico a prescindere dalla provenienza e si basava sul “costo di estrazione sopportato dal produttore americano meno favorito, più il nolo dal Golfo del Messico all’Europa occidentale” (questo perché tale combinazione veniva considerata la più cara in assoluto per via degli alti costi di estrazione negli Stati Uniti e della lunghezza della tratta da compiere).

Così facendo, al costo di produzione del petrolio americano veniva agganciato il prezzo mondiale del greggio, quest’ultimo tenuto artificialmente alto invece che seguire i prezzi reali praticati dai vari paesi produttori al fine di sviluppare l’industria petrolifera statunitense.

In altri termini, ai petrolieri americani fu concesso di continuare a crescere liberamente senza nessun tipo di concorrenza e alcun criterio di economicità, poiché essi vedevano garantita la redditività dal fatto che il loro prezzo finale era il medesimo di quello ottenuto in Arabia Saudita o in qualunque altro paese produttore, a prescindere dal fatto che avesse potuto avere costi enormemente inferiori.

Mattei entra in questo sistema a modo suo: se prima del suo avvento il prezzo finale di vendita del greggio era costituito da un 15% di costo di estrazione, un 42,5% di royalties pagate ai governi dei Paesi produttori e un altro 42,5% di profitto netto delle compagnie petrolifere, Mattei divide per due quest’ultimo dato e garantisce perciò ai paesi produttori il 75% dei profitti invece che il 50% (sottraendo quindi un 25% degli utili al Cartello), contribuendo ad arricchirli maggiormente e non solo.

Oltre ad offrire condizioni straordinariamente più vantaggiose, strappa prezzi migliori che si tramutano in un risparmio per le imprese e le famiglie italiane, garantisce condizioni di lavoro più umane e inserisce nelle trattative, come contropartite, anche la fornitura di beni e servizi che possano aiutare le deboli economie dei paesi produttori ad emanciparsi.

Mattei – per dirla parafrasando un noto proverbio – invece che dispensare pesci, insegna a pescare. Non ci vuole molto a capire la portata rivoluzionaria delle politiche del presidente dell’ENI; decenni prima che l’argomento inizi appena, appena ad essere accennato, con grande lungimiranza capisce che migliorare le condizioni di vita nei paesi d’origine delle materie prime, invece che sfruttarli trattando le popolazioni autoctone come bestie da soma, è più giusto e più conveniente per tutti.

Si genera rispetto invece che risentimento, si trattano le genti che come noi s’affacciano sul Mediterraneo alla pari e non dall’alto in basso, si fanno ottimi affari dove a guadagnarci sono ambedue le parti ma soprattutto si evita a contribuire che in quei territori aumentino la povertà ed il degrado, fenomeni che un giorno (e quel giorno l’abbiamo già ampiamente superato) potrebbero tramutarsi in massicce emigrazioni di massa verso i paesi più sviluppati e, ancor peggio, in focolai di rabbia antioccidentale con conseguente comparsa di fenomeni terroristici.

L’Eni un’azienda al servizio dello Stato

ENI un’azienda da 50.000 dipendenti, giovani tecnici – ricecatori – innovatori, che fa investimenti dà lavoro pagando bene i suoi dipendenti e crea benessere e prospettive rialzando la testa a livello internazionale. Si sgancia da Confindustria nel 1957 e dagli interessi privati e “privatistici” dando vita ad Asap (Associazione sindacale aziende petrolifere), scelta dettata dal fatto che la crescita dei lavoratori ENI, all’epoca dei fatti, e la grande diversità delle funzioni nei settori del petrolio, del gas, dell’ingegneria, della ricerca scientifica, della chimica e della meccanica avrebbe comportato assolutamente la necessità di trattare direttamente con i sindacati i problemi dell’ENI e per definire figure professionali del tutto innovative. Si trattò di un’azione di grande rottura con il mondo imprenditoriale che avviò una nuova stagione positiva durata oltre trent’anni

Non a caso, la grossa borghesia industriale del Nord restia alla prospettiva di difendere l’ENI, prospettiva che avrebbe impedito la possibilità di fare affari clamorosi in un ambito così proficuo tramite la controllata Edison: la società privata che secondo la favola del liberismo avrebbe dovuto sostituire l’ente di Stato avvantaggiando l’iniziativa privata e quindi il consumatore, ma che in realtà fungeva da cavallo di Troia per le società del Cartello che si sarebbero accaparrate così le concessioni sui giacimenti che l’ENI stava iniziando a sfruttare in Italia.

Con il suo peso, la classe imprenditoriale osteggiò Mattei in tutti i modi attaccandolo a gran voce dalle colonne dei giornali dell’epoca (Corriere della Sera in primis con Indro Montanelli) – sui quali, a suon di menzogne, l’Ingegnere fu paragonato ad un redivivo e pericoloso Mussolini che stava trascinando l’Italia nel baratro – e boicottandolo in politica – dove promuovendo la crescita della suddetta Edison e insinuando il pericolo di “deriva comunista” che l’Italia avrebbe rischiato, cercò di portare i vari governi che si succedettero a strappare all’ente statale le sue concessioni, facendo venir meno la legittimazione dello Stato a portare avanti le sue coraggiose politiche.

Il manager di Stato e lo Statista Enrico Mattei

Ma non c’è solo un genuino spirito volto al praticare un commercio equo. Oltre a questo, le idee di Mattei sono destinate a lasciare un profondo segno anche e soprattutto nella politica italiana: il presidente dell’ENI non vede di buon occhio l’appartenenza dell’Italia alla NATO e l’opprimente ingerenza praticata dalle potenze atlantiche – Stati Uniti in primis – in tutti i principali aspetti della nostra vita politica, interna ed estera.

Gli accordi che Mattei vuole porre in essere porterebbero l’Italia ad approvvigionarsi direttamente dai paesi produttori bypassando la (costosissima) intermediazione delle sette sorelle e rompendo il monopolio americano sul greggio, dando il là ad un progressivo smantellamento della presenza americana in Italia con il fine ultimo di portare il nostro paese ad essere una potenza mediterranea indipendente, senza basi militari straniere e libera di decidere in autonomia la sua politica estera avendo una voce autorevole in quello che secolarmente è sempre stato conosciuto come Mare Nostrum.

Fine prima parte

– La morte di Mattei e i segreti di Stato
– Perché e come ci hanno deindustrializzato
– Dal grande “corruttore” ai manager corrotti

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