di Giovanni Pivetta
5 Ottobre 2016

“L’Unione Europea ha trasformato l’ambizione climatica in azione climatica”

Queste le dichiarazioni del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, a margine della ratifica del Parlamento europeo dell’accordo siglato nel dicembre scorso alla Cop21 per la lotta contro il riscaldamento climatico.

Dopo gli Stati Uniti, la Cina e l’India, principali paesi inquinatori del pianeta, anche il Vecchio Continente ha ratificato il Patto della COP21 e i 28 paesi membri dell’Ue “valgono il 12% delle emissioni di gas effetto serra, una percentuale sufficiente a raggiungere e superare la soglia del 55% necessaria per l’entrata in vigore dell’accordo.

Questo consentirà dunque all’accordo di entrare in vigore 30 giorni dopo, cioè prima della prossima conferenza sul clima, la Cop22, che si aprirà il 7 novembre a Marrakech in Marocco. “È un momento storico”, per la presidente francese della COP21, la ministra dell’Ambiente Ségolène Royal, che ha dichiarato “i sette paesi europei che lo hanno già ratificato: Germania, Austria, Francia, Ungheria, Slovacchia, Malta e Portogallo”, andranno venerdì a New York per depositare gli strumenti di ratifica.

Tra questi Paesi non ci sarà l’Italia che nonostante rivendichi un ruolo da leader in green economy e rinnovabili ha fattoresistenza durante le trattative, insieme alla Polonia, ritardando anche la ratifica dell’intesa all’Europarlamento.

Il “principio d’equità” all’italiana

Ma se la Polonia ha difeso apertamente il diritto del proprio Paese a uno sviluppo basato sul carbone, mentre persino Ungheria e Slovacchia, “alleati” dei polacchi hanno già ratificato l’accordo a livello nazionale, l’Italia, al contrario della Polonia, è un Paese povero di materie prime, dovrebbe essere coerente e trasparente avviando il processo di transizione del sistema energetico e rilanciando le energie rinnovabili per farla diventare il primo paese decarbonizzato.

Inoltre, anche l’Enel sta dismettendo 23 centrali a carbone. Altro che battagliare per “l’equità” nella spartizione degli impegni tra i Paesi per negoziare, come fa l’Italia, sulla riduzione delle emissioni CO2.

Il tutto con la logica del politically correct ovviamente ai tavoli tecnici perché non si osa dire apertamente di non volere questo accordo per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centrigradi rispetto ai livelli pre-industriali e in particolare stabilisce che questo rialzo deve essere contenuto “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, sforzandosi di fermarsi a +1,5 gradi

Cosa prevedono gli accordi della COP 21 ratificati dall’UE

COP 21 di Parigi, il summit internazionale contro i cambiamenti climatici, hanno detto sì allo storico accordo per contrastare il surriscaldamento del clima terrestre provocato dalle massicce emissioni in atmosfera di anidride carbonica. Ecco i punti principali dell’intesa sottoscritta dai 195 paesi che hanno preso parte alla conferenza:

Riscaldamento globale – L’articolo 2 dell’accordo fissa l’obiettivo di restare “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali”, con l’impegno a “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”.

Emissioni CO2 di gas effetto serra – L’articolo 3 prevede che i Paesi “puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile”, e proseguano “rapide riduzioni dopo quel momento” per arrivare a “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo”.

Gli Impegni degli Stati Nazionali – In base all’articolo 4, tutti i Paesi “dovranno preparare, comunicare e mantenere” degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari che “rappresentino un progresso” rispetto agli impegni precedenti e “riflettano ambizioni più elevate possibile”. I paragrafi 23 e 24 della decisione sollecitano i Paesi che hanno presentato impegni al 2025 “a comunicare entro il 2020 un nuovo impegno, e a farlo poi regolarmente ogni 5 anni”, e chiedono a quelli che già hanno un impegno al 2030 di “comunicarlo o aggiornarlo entro il 2020”. La prima verifica dell’applicazione degli impegni è fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali.

Loss and damage (perdita e danni) – L’accordo prevede un articolo specifico, l’8, dedicato ai fondi destinati ai Paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti irreversibili a cui non è possibile adattarsi, basato sul meccanismo sottoscritto durante la Cop 19, a Varsavia, che “potrebbe essere ampliato o rafforzato”. Il testo “riconosce l’importanza” di interventi per “incrementare la comprensione, l’azione e il supporto”, ma non può essere usato, precisa il paragrafo 115 della decisione, come “base per alcuna responsabilità giuridica o compensazione”.

Risorse finanziarie – L’articolo 9 chiede ai Paesi sviluppati di “fornire risorse finanziarie per assistere” quelli in via di sviluppo, “in continuazione dei loro obblighi attuali”. Più in dettaglio, il paragrafo 115 della decisione “sollecita fortemente” questi Paesi a stabilire “una roadmap concreta per raggiungere l’obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020”, con l’impegno ad aumentare “in modo significativo i fondi per l’adattamento”.

Trasparenza – L’articolo 13 stabilisce che, per “creare una fiducia reciproca” e “promuovere l’implementazione” è stabilito “un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità che tengano conto delle diverse capacità.

I Principi di iniquità dell’accordo della COP 21

Sì può essere o potrà essere un accordo storico, quello raggiunto a Parigi sul clima, ma non ancora sufficiente è solo un primo passo per ridurre e magari azzerare entro la seconda metà del secolo le emissioni di gas a effetto serra, soprattutto mettendo un freno ai combustibili fossili e dando slancio alle rinnovabili.

Ma per i Paesi vulnerabili non c’è garanzia di assistenza per le persone che subiscono i più gravi effetti del cambiamento climatico, gli interessi dei più poveri, soprattutto sull’adattamento, sono stati sorvolati nelle decisioni in ambito finanziario perché i Paesi più poveri rischiano di dover far fronte entro il 2050 a costi che ammonteranno a quasi mille miliardi l’anno e non scongiura l’aumento delle temperature a 3 gradi entro 2050.

E quindi l’accordo della COP 21 contiene un’intrinseca e radicata ingiustizia: le nazioni responsabili del riscaldamento globale hanno promesso un aiuto misero a chi già oggi rischia di perdere la vita e i mezzi di sostentamento a causa dei mutamenti climatici.

Riscaldamento globale, il 2016 un altro anno da record

L’agosto appena passato è stato il più bollente degli ultimi 136 anni, un anno straordinario in termini di scioglimento dei ghiacci, CO2, temperature. Ma il caldo record che sta caratterizzando tutto il 2016 potrebbe peggiorare negli anni a ritmi superiori a quelli preventivati.

A dirlo non è tanto la nostra colonnina di mercurio, in questi mesi spesso e volentieri sopra la media stagionale, ma gli scienziati del Goddard Institute for Space Studies (Giss) della Nasa.

E il riscaldamento globale avvierà ondate di gelo più intense, innanzitutto, con il riscaldamento del Pianeta non avremo Inverni più freddi del passato, bensì la temperatura media planetaria della stagione invernale sarà superiore alla norma. La differenza sarà anche nel futuro maggiore nel nostro Emisfero rispetto a quello Australe.

È perciò lecito chiedersi come mai ci potranno essere ondate di gelo anche più intense rispetto al passato. Una delle varie motivazioni espresse dagli scienziati è che il caldo porta maggiore variabilità, incrementa gli eventi estremi, quindi avremo ondate di caldo e di freddo di maggiore rilevanza. Talune ondate di freddo potrebbero anche essere persistenti, e persino presentarsi con imponenza storica.

Ciò in questo ultimo decennio è avvenuto in varie regioni del Pianeta.

Fare informazione, per capire, conoscere e approfondire vi consigliamo di leggere “2 °C, Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia” Edizioni Ambiente di Gianni Silvestrini direttore scientifico di Kyoto Club e QualEnergia e presidente del Green Building Council Italia e del Coordinamento delle associazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza e della mobilità sostenibile FREE.

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